la questione del tetto

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di Giovanni Solimine [presidente Forum del libro]

Il decreto sulle detrazioni fiscali aveva destato grandi attese, ma anche qualche perplessità, per vari motivi: prevedeva l’utilizzo di fondi comunitari che non si sa se possono essere destinati a questo scopo e spesi sull’intero territorio nazionale; introduceva una distinzione tra libri scolastici, universitari e di varia difficile da applicare ed escludeva gli ebook; introduceva un plafond di 50 milioni, che rendeva il provvedimento molto diverso da quello al quale tutti lo abbiamo subito accostato, e cioè quello per l’acquisto dei farmaci (dove non c’è un tetto, mentre per le norme che prevedono un limite massimo di spesa, esse valgono solo per pochi mesi, fino a quando il tetto non viene raggiunto). Viene da chiedersi come mai tra i membri del governo e lo stuolo di dirigenti e funzionari che li circonda nessuno si fosse accorto che l’art. 9 fosse scritto talmente male da essere inattuabile.

La questione del tetto è stato il principale argomento utilizzato per cassare la norma. È stato osservato che volendo dividere 50 milioni tra i 29 milioni di contribuenti, a ognuno sarebbe spettato un beneficio di 1,72 euro. Faccio notare che questo calcolo è poco realistico: il 33% degli italiani acquista libri e spende mediamente 100 euro l’anno. Ammesso e non concesso che tutti presentino la denuncia dei redditi e conservino gli scontrini, avrebbero usufruito del provvedimento 10 milioni di italiani, chiedendo complessivamente 190 milioni di detrazioni. Mi si può dire che, comunque, bisogna augurarsi che un provvedimento del genere aumenti la platea degli acquirenti, ma potrei replicare chiedendomi se è proprio impossibile trovare nel bilancio dello Stato 200 milioni o poco più per uno scopo come questo, considerato che li troviamo per scaricare la spesa per l’acquisto di lavatrici e decoder per il digitale terreste. Ricordiamoci che si tratta di un provvedimento che intende sostenere un pezzo importante dell’industria e del commercio, com’è l’editoria, e che per di più avrebbe una ricaduta importante sulle competenze alfabetiche degli italiani, che recentemente si sono classificate all’ultimo posto tra i paesi OCSE.

La questione formale resta, per cui è comprensibile la necessità di limitare il numero degli aventi diritto: lo si può fare destinando la misura solo a chi ha redditi inferiori a una certa cifra, o non supera un limite di età, o si trova in determinate condizioni lavorative. A mio avviso, il rimedio individuato con l’emendamento votato in Parlamento, che ha trasformato la detrazione in un buono sconto per gli studenti delle scuole superiori, è peggiore del male, perché il vantaggio è irrisorio (la normativa vigente prevede già la possibilità di uno sconto del 15% sul prezzo di copertina, praticato abitualmente in molte librerie); perché la norma avvalora l’idea sbagliata, già diffusa in molti, che la pratica della lettura riguardi solo gli studenti; perché gli stessi librai, che secondo alcuni commenti superficiali costituirebbero la lobby che dovrebbe avvantaggiarsi per questa nuova formulazione, probabilmente non riusciranno a scontare i buoni attraverso la formula del credito d’imposta (non pagano l’IVA, che è assolta dall’editore, e spesso non pagano tasse sui redditi, perché in molti casi le attività sono in perdita e non producono profitti).

Ma non getterei la spugna. La norma, anche se produce effetti concreti sono limitati, ha un grande impatto comunicativo. Essa peraltro è presente, anche se in forma diversa, nella proposta di legge “Disposizioni per la diffusione del libro su qualsiasi supporto e per la promozione della lettura”, di cui è appena iniziata la discussione nella VII Commissione della Camera. Il problema della copertura economica e della regolamentazione del provvedimento si riproporrà. La soluzione si può trovare: basta lavorarci con competenza ed avendo chiaro l’obiettivo che si intende raggiungere. Cioè l’esatto contrario di ciò che è stato fatto col decreto Zanonato.

[l’immagine in apice viene da qui]

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