Da devoto di Giorgio Manganelli (cfr. «Lunario dell’orfano sannita»), credo di non aver mai firmato un appello in vita mia. Ma il fatto che ci si invita a scrivere una motivazione, come sto facendo in questo momento, allontana l’effetto di scarico di coscienza al costo di un clic – che rende la compassione telematica una delle forme di falsa coscienza oggi più a buon mercato. Perché dunque schierarsi in questa battaglia? Perché non è una battaglia corporativista – come qualcuno, persino qui, pare credere – bensì l’esatto contrario. È una battaglia culturale, dunque politica.
L’offerta di scontri incontrollati in libreria è un esempio della demagogia post-politica oggi imperante, ingannevole come quella del «processo breve» spacciato quale rimedio contro le lentezze della giustizia – mentre, con tutta evidenza, non è altro che una scorciatoia all’impunità per i soliti potenti (cioè il solito potente). Allo stesso modo, il rimedio peggiore del male, che oggi con questa legge si minaccia, viene presentato come intervento in favore dei lettori, i quali giustamente e non da oggi protestano contro i prezzi di copertina eccessivi. Ma avrà come unica conseguenza una caduta a picco della bibliodiversità -che appiattirà e deforesterà brutalmente le librerie indipendente e l’editoria di ricerca: dunque una diminuzione di libertà di quegli stessi lettori ai quali, demagogicamente appunto, dichiara di voler andare incontro.
Giusto invece, come sostenuto qui sopra, aprire una discussione sulla strettoia della distribuzione, vero nodo di strangolamento della filiera: i privilegi della grande distribuzione saranno i primi a entrare in crisi con le trasformazioni tecnologiche imminenti, e dovremo essere pronti a cogliere questa occasione per instaurare – al posto di quello, iniquo, che già sta schiacciando i piccoli editori, le riviste di cultura e insomma ogni minimo tentativo di presa di respiro – un nuovo regime, più equo e virtuoso.